La marmellata
-Io i fiori li mangio a merenda!-
-Ma che dici? I fiori si donano! Si regalano! Si offrono alla persona amata per dimostrare il proprio amore nei suoi confronti. Non si mangiano mica, a merenda si mangia la marmellata!-
-Se per questo nemmeno si recidono, ma perché li recidono? Ed io quindi se li trovo recisi, li mangio!-
-Ma perché?-
-Perché la marmellata è rara, preziosa! Ed io a merenda ho fame e i carboidrati, come il panino con burro e zucchero, non vanno bene dal pomeriggio in poi…-
La discussione continuò fino all’ora di cena e la coppia decise infine di limitare i fiori a merenda solamente nel settimo giorno della settimana, quello dedicato al riposo. La mossa di lei è stata astuta, lui in questo caso avrebbe dovuto decidere se mangiarli o regalarglieli come prova del suo amore, decisero inoltre, di comune accordo, che i fiori sarebbero dovuti essere esclusivamente rose, lui approvò perché conoscendo già il sapore e il gusto dei petali, avrebbe gestito meglio l’ardua scelta.
Solo lei, ovviamente, aveva pensato alle spine.
Il profumo dell’arrosto sovrastava di poco quello delle mele rosse e profumate, la tavola imbandita con pane fresco fatto in casa e la caraffa dell’acqua del pozzo riflette, arrotondandoli, i tovaglioli ricamati a mano, parte del corredo della madre di lei, oltre alle lenzuola.
La coppia consumò il pasto facendolo terminare con un bicchierino di Malvasia, lui mise un ceppo di ulivo sul camino mentre lei sparecchiava, raggiunta quasi subito da lui che la aiutò, in un consolidato menage, a lavare i piatti e riporli nella credenza antica almeno quanto un paio di guerre.
Le due poltrone, posizionate nel semicerchio più caldo davanti al camino, sono divise educatamente da un piccolo tavolino basso con delle gambe arrotondate che finiscono con tre dita di chissà quale belva feroce, ma tarlata. Il pavimento, scevro da tappeti, restituisce il calore del caminetto solo in quei pochi metri quadri, mentre nel resto della casa amplifica il freddo di quell’inverno, la coppia decide il da fare:
-Scacchi? Ieri mi hai battuto ma stavo poco bene, rivincita?-
-Perderai anche stasera, vada per gli scacchi!-
Lei prende dalla libreria una piccola scacchiera e la porta sul piccolo tavolino, posizionando i pezzi neri dalla sua parte.
-Domani devo tagliare un po’ di legna…- Lo disse più che altro a se stesso mentre portando il pedone avanti di due caselle ‘aprì’ la disputa cavalleresca, lei non lo guardò e rispose alla sua apertura muovendo subito il cavallo.
Dopo tre ore la Regina nera chiuse tutte le vie al Re bianco e la partita terminò:
-Brava, l’allieva supera il maestro…-
-Grazie, e stasera stavi bene!-
Il sorriso di lei era ammaliante, avrebbero fatto un bambino quella sera, lui infatti si illuminò e mise dell’acqua vicino al camino per scaldarla mettendo contemporaneamente in sicurezza la legna scoppettante più all’interno.
I due si lavarono nella vasca sfregandosi a vicenda, il sapone non colora l’acqua e non fa schiuma, ma profuma di lavanda, le mani sapienti sfregano i corpi ed entrambi si danno fiducia, consolidando la pratica del loro ‘fare un bambino’ lavando sapientemente al partner le parti che poi loro stessi desiderano pulite e profumate:
-Era da tanto che non ci lavavamo…-
La marmellata era poca, quella primavera è stata segnata da troppe disgrazie naturali, entrambi sapevano di avere l’ultimo vasetto nella credenza.
Lei fece quella considerazione con la consapevolezza di non essere indisposta anzi, di desiderare quel giorno proprio dal ventre, lui rispose delicatamente già giustificando la propria durata appunto perché il tempo trascorso era parecchio.
L’amplesso, pieno di desiderio e di collaudato amore durò pochi minuti, lui lasciò il suo ventre e si abbandonò a pancia in su sperando che questa volta almeno un figlio sia riuscito a rimanere dentro, lei quel bambino lo sentì aggrapparsi vincitore, vide lui uscire dal suo corpo ma questa volta il suo solito inappagato desiderio non diventò un macigno, anzi, quella volta imparò che quella sensazione di estasi avrebbe potuto portarla ad un livello superiore anche da sola ogni volta. Lui si sorprese poco vedendola e sentendola gemere davanti a lui.
Poi, nonostante il suo nuovo tremore sotto pelle, lo ricoprì con la coperta pesante per poi a sua volta infilarsi nel calore che entrambi stavano emanando e che li avrebbe accompagnati nella lunga e fredda notte.
Un soffio spense la candela.
La luna illuminava debolmente la stanza e le nuvole strette e rade sembrava la stessero tagliando di netto.
Il gallo svegliò i loro corpi ormai infreddoliti, lui raggiunse il camino e con un soffietto gonfiò nuovamente il fuoco, aggiungendo dei ceppi asciutti che sarebbero bastati per qualche ora, lei invece versò dalla caraffa dell’acqua per la colazione e preparò il decotto che avrebbe accompagnato il pane secco, ammorbidendolo.
La mattinata si alternò come sempre tra tagli di legna, mungitura, pesca nel fiume poco più a valle, un infruttuosa raccolta di frutti per la marmellata, lui a fine mattinata mise nella bisaccia i loro prodotti e scese in paese per barattarli con altri che non poteva avere.
Appena il sole sparì dall’orizzonte tornò a casa e, posizionando nella madia della cacciagione soddisfatto, si fece abbracciare, lei pregustava già il sapore di carne così buona e decise in un solo istante di trasgredire; uscì e recise tre rose, dopo averle annusate rientrò e gliele porse:
-Per te, per la tua merenda!-
Lui le prese con una sola mano e le strinse, sapendo che le spine lo avrebbero fatto sanguinare, riaprendo la mano le fece vedere il palmo intriso di sangue e sorridendo, senza nessuna smorfia di dolore, le disse:
-Queste te le dono a dimostrazione del’amore che provo per te!-
Lei si accorse di avere gli occhi lucidi, rimase un po’ a testa bassa, ringraziando, poi andò a prendere l’ultimo vasetto di marmellata e gliela porse dicendogli:
-Questa volta lo sento, avremo un bambino!-
La marmellata scivolò profumata nel pane secco ed entrambi si guardarono, sorridendosi, per la prima volta da genitori.
Cesare
20 Ottobre 2020