Lo specchio
Non sono nascosto ma non mi vedo, vedo però due volte l’angolo della colonna, sulla quale è appesa la fotografia scattata in quello scoglio, per toccarla dovrei smettere di vederla, speculare, dovrei fare pochi passi e attraversare la mia immagine, trovandomi. Ma cosa mi ferma? E perché non faccio nemmeno il gesto di allungare un piede, non mi va nemmeno di guardarlo due volte il mio piede. Rimango attaccato al muro, osservo la cornice dello specchio, inesistente, a vista quindi, non vedo nulla che lo tenga attaccato al muro, deve essere incollato, un po’ come me che da quel muro non riesco a fare nulla per andare oltre. Eppure ne ho visti specchi, facendomi la barba, tutti i giorni, in quei pochi minuti di rasoio elettrico mi guardo comunque in uno specchio, ma forse nell’indifferenza interna, osservo solo la mia faccia di culo e non la sua causa, portando avanti magari le espressioni di qualche discussione in una chat, o tra la gente, sapendo che la mia faccia rimarrà impressa nella gente, nel fastidio di chi non mi conosce, nell’ammirazione di chi mi adora, nella pietà di chi mi vuole bene. Così anche quando mi lavo i denti non penso certo che verranno trapassati da mille frasi, scorrette o logiche, deleterie o magari anche innovative, ma la loro frequenza attraverserà sempre i denti, ma in quegli specchi io ho solo una relativa percezione del mio ego estetico.
Questo specchio è diverso, ho i brividi solo al pensiero di osservare, affondando la mente nel pensiero dell’assenza del corpo, dell’espressione, del modo in cui sono vestito, dell’orologio al polso. Guardo un attimo in basso, osservo i polpacci, li considero carne che si è insinuata tra polpacci femminili, di donne innamorate e non innamorate, polpacci nel peccato, che in mezzo ai miei hanno trovato momenti.
Questo specchio è diverso, lo guardo iniziare pochi centimetri dal mio fianco, rimango stancamente poggiato al suo stesso muro e, realizzando questo, ho un altro brivido, mi distacco dal muro, ora mi sento indifeso, nessun contatto, solo lo specchio che penetro distratto riguardando quella foto, in quello scoglio ho amato mare, maree e marie, nessuna delle tre mai vergini di me, quasi annoiato considero quella una foto come tante, ma torno immediatamente nel brivido del non voler vedere me nel passo successivo. Nel mio specchio. So di non poter tornare indietro. Ho una sola soluzione in mente, perché voglio continuare a poter fotografare senza entrare nello scatto, ma se facendolo in mille pezzi riesco comunque a vedermi nello specchio? Magari in ogni pezzo differente, diverso, tante parti, tanti pezzi di me, non sarà meglio affrontarmi una volta per tutte? Magari mi vedrei integralmente ma una volta sola.
Questo specchio non mi è amico come quello della barba, questo specchio sa esattamente cosa vuole farmi ed io mi abbandono al mio riflesso, faccio un passo avanti e mi giro verso me stesso, guardando nei miei occhi mi vedo mille e mille volte sempre più piccolo, fino a sparire in un gioco di profonda verità, falsità, inutile attesa. In un istante mi rendo conto di non volermi più. Ho già sfondato vetrate con le mani, allora guardo il polpaccio, figlio di mille crampi e, tendendolo allungo il piede frantumando lo specchio in tutti quei pezzi che volevo, oramai scoperto mi trafiggessero ricordi ed esistenza, vita e pensieri, forza e dolore, e in quelle immagini, ammutolito urlo.
Non mi farò mai più la barba senza guardarmi dritto negli occhi, dritto nella mente.
Cesare
6 Luglio 2016