Il combattimento
I due nemici
si studiavano, muovendosi lentamente e formando un cerchio, un po’ verso una
parte, un po’ verso l’altra, se entrambi avessero aperto le braccia tenendosi
le mani, avrebbero regalato un sorriso a Giotto e uno a Leonardo, la perfezione
dei loro corpi, scolpiti da troppe ore di esercizi ed esperienze, era perfetto.
La stessa altezza, lo stesso peso, in bianco e nero sarebbero sembrati gemelli,
la testa rasata per evitare che il sudore possa andare negli occhi, si
distinguevano solo dai pantaloncini, aderenti, luminosi, di diverso colore, Yu
li aveva arancioni con una vistosa striscia nera, Qu invece verdi, quasi
fluorescenti, con due strisce sottili
gialle. I nomi di battaglia erano studiati a tavolino, sapevano che sentirsi
incitare con un nome lungo avrebbe dimezzato la loro carica, due lettere
ripetute all’infinito invece avrebbero scientificamente avuto un effetto di
gran lunga migliore.
Era la prima
volta che si incontravano e le regole non erano diverse dalle altre volte, non
esistevano, solo il vincitore avrebbe potuto decidere sulla vita del perdente,
anche se raramente accadeva, nessuno uccideva più, era una lotta tra menti,
sportiva e onesta, nulla di animalesco a parte l’istinto di prevalere sull’avversario,
mai perso nel DNA umano.
Ma l’incognita
di poter morire, o la possibilità di poter uccidere rendeva ogni combattimento
unico, per avversari e pubblico.
Uno scatto
di Yu, che in una frazione di tempo, abbassò la testa e la risollevò lasciò
apparentemente interdetto Qu, che istintivamente fece mezzo passo indietro,
quello era l’effetto che doveva sortire e in quello stesso istante Yu spinse in
avanti il braccio, le sue dita dovevano raggiungere uno spazio tra le costole
dell’avversario. La tensione del bicipite, snello e ben tornito, si vedeva e si
sentiva, Yu aveva appena ritratto il braccio ed ora osservava il suo nemico, si
guardò il muscolo, colpito rapidamente, non si era accorto della velocità con
cui è stato spostato il suo intero braccio dal colpo di Qu, impedendogli di
sferrare il suo.
Il suo nemico
era davanti a lui, la distanza era perfetta, nemmeno un metro, ma mentre lui ora
offriva il corpo lateralmente, per regalare meno superficie, Qu restava
simmetricamente davanti a lui, senza però ostentarsi, senza essere spavaldo, le
sue braccia invece si muovevano quasi in contemporanea, parallele, Yu si
sentiva ipnotizzato, non aveva mai avuto la certezza della vittoria, e adesso
la metteva ancora di più in discussione.
La sicurezza
però era il perno del loro carattere ed era sempre stata quel punto in più che
li ha fatti arrivare fino in fondo, in quella competizione estrema che aveva raggiunto
ora il suo massimo livello.
Quante ore
di meditazione, quanti anni di meditazione, quanta esperienza avevano
accumulato, avevano anche ucciso, si, avevano la completa esperienza dei
guerrieri, avevano la consapevolezza che tra uccidere o morire la differenza
era troppo poca, il colpo tentato da Yu in mezzo alle costole dell’avversario
sarebbe stato devastante per cuore e polmoni, e solo un avversario come Qu
avrebbe resistito, senza morire, ma avrebbe avuto vita facile nel caso fosse
andato a buon fine, immobilizzarlo dopo il colpo gli avrebbe regalato un’istantanea
vittoria, e sicuramente non lo avrebbe ucciso. Ma il bicipite adesso iniziava a
fare male, nonostante le ore di autocontrollo e di controllo del dolore.
Probabilmente
Qu aveva avuto solo una reazione istintiva, pensò, anche se arrivare a quel
livello voleva dire essere almeno al suo pari.
Minuti,
interminabili, i due sembravano studiarsi ancora, rispettarsi ancor di più, Yu
indietreggiò e Qu fece lo stesso, mezzo metro indietro praticamente in
contemporanea, Yu aveva vinto mille combattimenti, lui studiava costantemente i
movimenti dei muscoli degli avversari, anticipando sempre le loro mosse, ma Qu
non faceva mosse, distraendolo non poco, perché tornava indietro anche lui, se
lo chiese, ma decise di aver bisogno di altro tempo.
Il pubblico
rimaneva ammutolito, in un silenzio irreale, in un’arena colma, dove solo i respiri
dei due avversari avevano forma e colore, nemmeno durante il primo tentativo di
Yu ci fu un solo fiato, la speranza di quel pubblico non era la visione finale
della morte, ma la battaglia sportiva fine a se stessa, quanta attesa per ogni
battaglia, e quella era l’ultima, il massimo mai raggiunto, nessuno voleva
perdere un solo istante di quello scontro.
Accadde
tutto in pochi istanti, Yu vide i muscoli dell’avversario in uno stato di
stasi, di calma, quasi fossero rilassati, senza caricare sulle gambe per non
regalare quel tempo all’avversario scattò in avanti, decidendo di portare prima
entrambi le mani dentro il torace dell’avversario, per poi continuare con gambe
e piedi la sua mossa finale, aveva sempre funzionato, Qu fece due movimenti,
due soli movimenti, Yu arrivò a pochi centimetri dal corpo di Qu, le sue dita
però erano già frantumate, i palmi delle mani di Qu si erano subito irrigiditi
e avevano bloccato le dita delle due mani di Yu, ritirandosi nello stesso
istante in cui avevano spezzato in mille pezzi le dita del nemico, tanto che Yu
nemmeno si rese conto che le sue dita erano arrivate quasi all’avversario e
infatti non capì perché non lo avevano colpito, annientandolo.
Le gambe di
Yu continuarono nell’abbrivio iniziale ma il suo salto diventò la causa della mancanza
della stabilità e del suo equilibrio, se avesse colpito l’avversario avrebbe
avuto i piedi dentro le ginocchia di Qu, invece erano molto più in basso, Qu,
mentre fermava la sua mossa con i palmi delle mani, in un semicerchio rapido
della sua gamba, aveva rallentato le gambe di Yu, colpendone il collo dei due
piedi, sbilanciando completamente il nemico.
Il silenzio
fu interrotto solo dal rumore delle dita frantumate di Yu e dalle sue ginocchia,
che, per prime, raggiunsero il terreno, l’incredulità nel suo sguardo buttò via
anni di studi di autocontrollo, un gemito dopo un solo istante da quando toccò
terra fermandosi inerme, e Qu, il suo avversario, nemico, che lo guardava
sempre fisso negli occhi, avrebbe deciso di ucciderlo forse, forse no.
Yu ufficializzò
la sua sconfitta aprendo le braccia e indicando l’avversario, le sue dita
sformate non sanguinavano, e non avevano ancora iniziato a cambiare colore, il
pubblicò non fiatò, inaspettatamente, solitamente avrebbe urlato, ma non lo
fece, aspettò.
Yu cercò di
capire se sarebbe morto, Qu non si mosse, Yu aveva già capito, nel caso fosse
rimasto vivo, che avrebbe dovuto abbandonare l’unica cosa che sapeva fare, i
combattimenti, le sue dita erano la sua forza, e chiese a Qu con gli occhi di
risparmiargli la vergogna, di ucciderlo.
Il pubblico
rimase immobile, in un silenzio ancora più scuro.
Qu annuì.
Yu si
inginocchiò, aspettando la morte, sapeva che sarebbe stata indolore, e il
dolore delle dita che iniziava ad aumentare sarebbe presto finalmente sparito insieme
alla vergogna, non quella della onorevole sconfitta, ma del suo prossimo
eventuale futuro.
Qu lo
guardò, concedendogli la domanda di rito, avrebbe risposto, sinceramente a qualunque
sua domanda, onore e rispetto, il suo avversario sarebbe morto per mano sua,
dopo essere stato sconfitto, ma non umiliato, per mano sua.
Yu gli non
gli fece una domanda diretta, ma gli disse che lui nell’avversario osservava
attentamente, con una rapidità assoluta e maniacale, nella intera globalità del
corpo, qualunque variazione muscolare, qualunque movimento, qualunque minima
differenza, nel tempo, del suo corpo, nel suo corpo, e lui nella sua completa
immobilità, lo ha davvero sconfitto.
Qu unì lè
mani, salutandolo con rispetto, e gli disse che lui negli avversari guarda
sempre gli occhi, fino all’anima, solo li si capisce, in anticipo, ogni
prossimo movimento, ogni mossa.
Yu sorrise. Qu
si mosse così rapidamente che solo quando Yu crollò senza vita si capì che era
tutto finito.
Gli occhi di
Qu si chiusero, finalmente, e lacrimarono, in un pianto silenzioso, Qu aveva
vinto il combattimento.
Cesare
30 Dicembre 2016