Il giorno più bello
Non riesco a scrivere, fa tanto freddo, non riesco
ancora a capacitarmi del perché mi sono infilato in questa situazione, e ora
non ne avrei nemmeno le forze, devo trovare il modo di scaldarmi. Forse dovrei
alzarmi e camminare anziché stare rannicchiato in questo vicolo, forse dovrei
trovare un vicolo più caldo, ma dove, i muscoli delle spalle si contraggono, le
ginocchia sono insensibili, ma fino a poco fa le sentivo ghiacciate, il collo
dei piedi è freddo, le scarpe erano calde in primavera, ma ora sembrano due
ferri da stiro appena usciti dal frigorifero. Non ho fame, anche se sento
chiaramente l’involucro dello stomaco nel mio corpo, vuoto, rigido e freddo,
sembra la sacca di una cornamusa. Le mie mani stringono i polpacci, non ho
guanti, le dita sono ghiacciate, fino a natale ancora scrivevano, ora non credo
siano in grado, che destino bizzarro. E poi quei topi, immensi, neri topi di
fogna.
Fino a natale ero un imprenditore di successo, la
mia azienda pubblicitaria era avviata da anni e io unico socio, e responsabile quindi,
prezzolavo collaboratori e grafici per realizzare le mie idee e scrivevo da
solo gli spot, i testi interi, avevo una segretaria, molto più piccola di me,
di cui ero innamorato, e che ricambiava, dovevamo sposarci il giorno di Santo Stefano,
il suo onomastico, le sembrava un modo carino per ricordare la data del
matrimonio. La notte di natale ognuno la ha passata, per l’ultima volta con la
propria famiglia, una madre che aveva la mia età, la solita superstizione di
non vedere la sposa prima del matrimonio, ma siamo stati insieme nella nostra
futura casa a fare l’amore fino alle otto di sera, poi ci siamo salutati, e
buon natale.
Ho freddo, sempre più freddo, ora è la testa che sta
ghiacciando, la sento e metà completamente fredda, ma quanti gradi ci saranno,
pochi, sopravvivrò forse, ma forse no, e nemmeno mi interessa adesso, adesso
vorrei scaldarmi, essere sposato e a letto con mia moglie, invece sono qua, in
un vicolo di periferia in compagnia di qualche topo di fogna che probabilmente
appena tirerò le cuoia mi mangerà, sempre che non inizi prima. Il cartone che
ho sotto il sedere probabilmente mi sta regalando qualche ora di vita.
Maledirei tutti i responsabili del mio destino, ma non riesco, non me la sento,
anche perché io per primo ne sono la causa.
La mattina del matrimonio mi sveglio presto, inizio
a radermi, suona il campanello, magari i miei amici sono venuti già, eppure era
presto, finisco rapidamente di radermi e intanto urlo di aspettare un attimo,
silenzio, apro la porta come se il giorno del mio matrimonio nulla potesse cambiare
la storia del giorno più bello della mia vita, poliziotti in divisa, cazzo,
cosa è successo. Entrano senza dire una sola parola, tre mi scavalcano
rapidamente ai lati e due mi bloccano, mi ammanettano, mi imbavagliano e si
assicurano che non mi possa muovere. -È in arresto.- sento con la faccia in giù
inginocchiato e già ammanettato con le mani dietro le spalle, vedo termosifone
e muro, sono nell’angolo, considero, in un attimo, quel modo di interferire
della polizia anomalo, ma non posso lamentarmi, cerco di urlare ma senza
infastidirli –Omicidio, caro lei, omicidio.- Un brivido.
Chiudere gli occhi in quello stato vuol dire morire
sicuramente prima, abbandonarsi, cedere al freddo, allora cerco di guardare in
alto, ma mi sento il collo cedere, quasi spezzarsi dal freddo, il vapore acqueo
che esce dal dolore di quel movimento mi dice chiaramente che ancora dentro
sono caldo, diversamente sarei morto e già digerito dai topi. Riesco a pensare
molto meno adesso, la difficoltà sta nel concentrarmi, perché le dita sono
insensibili, i piedi doloranti, i polmoni sempre più freddi e non voglio
nemmeno sapere in che condizioni è il cuore.
Quel cuore che avrei donato alla mia sposa per tutta
la vita quella mattina, ma quella mattina sembrava iniziata male, un calcio
improvviso alla schiena, sbatto la faccia sul termosifone e sento un fortissimo
dolore mentre un altro poliziotto grida: -Bastardo, sei accusato del’omicidio
della tua futura suocera.- Non capisco, dolorante insisto in un gemito
soffocato, sono bendato, il poliziotto mi prende per i capelli e mi gira verso
il centro della stanza, mi leva la benda un attimo solo, ha una pistola in
mano, la tiene con i guanti, e dice: -Eccola la pistola, era sotto il letto- E
dicendolo mi sferra un calcio in bocca che non posso evitare, il suo collega mi
tiene ben fermo, il dolore aumenta sono quasi nudo, poi non ricordo, il nulla.
Il freddo arriva alle cartilagini, credo di
lacrimare, ma è solo una goccia di umido gelo che mi cola dall’occhio, tenuto
aperto per un istintivo attaccamento alla vita, poi un miracolo, o almeno lo
credevo, la mia fidanzata, futura moglie, probabilmente orfana da poco, mi
vede, capisce che sono io, ho fatto bene a infilarmi nel vicolo dove ci siamo
scambiati il primo bacio, cerco di urlare, ma non riesco, il dolore è acuto, le
forze esigue, allora si avvicina, un bel cappotto caldo, finalmente un viso
amico, il mio amore, non penso che al calore che non ho, e che sta per
arrivare, non penso, è estasi, quasi sento calore, sta per arrivare a me.
Quando riapro gli occhi, in mutande, con il sangue
alla bocca, e con un dolore fortissimo mi rendo conto di essere senza manette,
la pistola era in terra e i poliziotti erano spariti, vado in bagno, mi guardo,
sono tumefatto, sento dei rumori di auto, veloci, poi freni, guardo fuori e
vedo le macchine dei carabinieri, due, istintivamente raccolgo la pistola, e
scappo, metto addosso le prime cose che mi vengono in mente, la pistola in
tasca, e scappo, una cuffia in testa, il terrore addosso, e scappo. Cerco di
capire, mentre cammino velocemente, cosa era successo, perché ero stato
accusato, e perché ero libero. Non potevo certo fermarmi a spiegare ai carabinieri
quello che mi era successo prima, cerco di capire ma non riesco. Il giorno più
bello della mia vita.
Ancora pochi passi, cerco di urlare il suo nome, non
riesco, cerco di sussurrarlo, inutile, il freddo sta lavorando bene, sembra
deciso a conservarmi immobile, nel tempo, ma la mia salvezza era a pochi passi
da me, bella, bellissima, del morbidi capelli sulle spalle, un rossetto inutile
in quelle labbra uniche, mie, un corpo così elastico e fantasioso in una mente
calda e dolce, la mia futura moglie, la donna della mia vita. Due passi, ed
eccola, mi osserva, come se fossi un oggetto, poi alza un piede e poggiandolo
sul ginocchio mi spinge, non mi rovescio, sono un cubetto di ghiaccio, e inizio
a capire, anche se non voglio, lascio gli occhi sbarrati, che mi creda morto,
prendo tempo.
Il mio corpo sta cedendo al freddo, adesso sento le
ossa sempre più piccole, se qualcuno mi strappasse la pelle credo si
staccherebbe in un blocco unico, scivolando via, ma mi serve avere ancora per
un istante il controllo della mia vita. Allora irrigidisco tutto, cerco di
agitare più possibile gli atomi, devo creare calore, devo ancora capire, già la
mente si sta agitando, quello che è successo ha un suo perché, e io,
maledizione, ora inizio a capire. Qualche giorno prima abbiamo firmato un’assicurazione,
e la mia futura moglie ne era ovviamente l’unica beneficiaria, la società era
diventata anche di sua proprietà, non aveva senso aspettare il matrimonio,
cerco la pistola, in quel gelo che mi immobilizza, credo di sapere dove è, ma
le mani sono attaccate ai polpacci, la tasca diventa lontana quindi. Lei si
gira e mi da le spalle, in fondo al vicolo appare una berlina blu, la sua, la
riconosco, guidata da uno di quelli che, vestiti da poliziotti, mi avevano
pestato, non vedo il viso di lei, ma lui alza un pollice, è ok quindi, io sono
morto, ok. Lei si incammina verso il suo probabile amante. Cerco velocemente di
prendere la pistola, è un attimo, riesco, lei non si accorge di nulla, cerco di
premere il grilletto, non riesco, non ho le forze, lei si gira, mi guarda
nauseata, si rende conto, e vede la pistola cadere in terra e quasi la mia mano
spezzarsi, e io in un istante, l’istante prima di morire, mi chiedo,
stupidamente, che ne è stato della madre, ma diventava subito chiaro, era
morta, peccato, era così bello fare l’amore con lei, che donna.
Muoio con una consapevolezza, avrei sposato un’assassina.
Cesare
2 gennaio 2017