No
Il no è peggiorativo, una rinuncia al sentirsi vivo, in ogni no c’è quasi sempre una frustrazione di chi lo pronuncia. Per esperienza, io che istintivamente dico no a qualunque richiesta, conosco bene il meccanismo che porta all’automatico no, si tratta della necessità di prendere tempo e non affrontare una decisione che l’immediatezza del si potrebbe rendere irreversibilmente sbagliata. Però almeno nel mio caso al no segue sempre un dialogo e un perché, ed è facile che diventi un si, ma solo dopo aver sviscerato le conseguenze stesse del si, cercando di smontare qualunque no si presenti.
Sono pochi i no costruttivi, e sono quelli detti ai bambini, purtroppo oggi stracarichi di si, senza il valore della conquista del merito, non voglio cadere nel banale con discorsi di compensazione genitoriale dovuti alla mancanza di tempo da dedicare al figlio cresciuto a suon di si, oppure, peggio ancora, ai sensi di colpa dei genitori che separatisi credono che accondiscendere il figlio lo ripaghi del presunto danno causato. Ci son scritti che dichiarano che i figli dei separati siano più scaltri, mah.
Il no di rinuncia a qualcosa, detto a se stessi invece è, a mio avviso, il peggiore, il più devastante, il no, quel no, è la rinuncia a se stessi, a combattere per ottenere qualsiasi cosa, rinuncia ad amare se stesi quindi, quel no chiude qualsiasi discorso su aspirazioni e velleità personali.
Deve esserci un no costruttivo, creativo, dolce da pronunciare, un no che inizia a costruire, senza bloccare, un no che diventi l’insieme stesso delle passioni non scoperte.
Lunedì 6 Luglio 2015 Cesare