Loop
…quella vocina mi riempiva il cranio, sembrava trapassarlo. E non usciva, come un’aragosta dentro la nassa. E io inutilmente cercavo di fermarla, mi sarei cavato gli occhi dalle orbite se fosse servito per farla uscire come una rondine che va via dal suo nido, e poi avrei bruciato il nido e messo una grata al posto degli occhi. Inizialmente sembrava un fastidioso gioco tra me e chissà chi, poi dopo tre giorni quel gioco puzza più del pesce, ora sono ormai anni che persiste e insiste tra le mie sinapsi, ci si è incollata, vocina furba quanto fastidiosa. Il medico delle vocine mi ha dato le pastiglie e le gocce contro le vocine, un distillato di buonumore raccontato male la cui chimica interferisce solo parzialmente con l’aragosta nella nassa, che racconta la sua storia ormai triste del suo ingresso in quella nassa maledetta, e non capisce, l’aragosta, che per far smettere le vocine deve solo smettere di prendere le pastiglie, al contrario di me, che per farle smettere le devo prendere smodatamente. Mi guardo da fuori, come la nassa guarda l’aragosta, ma rido stupidamente credendo che Osho guardi me nello stesso istante, nella stessa diagonale, e che forse anche lui senta le mie vocine, allora decido di partire per la tangente, vado alla biglietteria della partenza per la tangente e mi dicono che non mi basta né la fantasia, ne l’acqua ne l’aragosta ancora viva per pagare il biglietto per la tangente, che è ancora, immaginate voi, al 7%. Domando al bigliettaio se lui aveva tangenti, e senza nemmeno rispondermi mi fa arrestare per mancata corruzione. Mi rinchiudono in una gabbia senza noccioline o banane, al mio fianco la nassa, e l’aragosta che ride, le dico: “Che cazzo ridi aragosta, non hai nemmeno un cognome e ridi, rinchiusa, o rinchiuso in quella nassa.” L’aragosta si palesa e dichiara di essere ermafrodita, e insiste nella sua risata, poi la sua vocina, fastidiosa, che mi riempiva il cranio, sembrava trapassarlo. E non usciva, come un’aragosta dentro la nassa. E io inutilmente cercavo di fermarla, mi sarei cavato gli occhi dalle orbite se fosse servito per farla uscire come una rondine va via dal suo nido, ma avrei bruciato il nido e messo una grata al posto degli occhi. Inizialmente sembrava un fastidioso gioco tra me e chissà chi, poi dopo tre giorni quel gioco puzza più del pesce, ora sono ormai anni che persiste e insiste tra le mie sinapsi, ci si è incollata, vocina furba quanto fastidiosa. Il medico delle vocine mi ha dato le pastiglie e le gocce contro le vocine, un distillato di buonumore raccontato male la cui chimica interferisce solo parzialmente con l’aragosta nella nassa, che racconta la sua storia ormai triste del suo ingresso in quella nassa maledetta, e non capisce, l’aragosta, che per far smettere le vocine deve solo smettere di prendere le pastiglie, al contrario di me, che per farle smettere le devo prendere smodatamente. Mi guardo da fuori, come la nassa guarda l’aragosta, ma rido stupidamente credendo che Osho guardi me nello stesso istante, nella stessa diagonale, e che forse anche lui senta le mie vocine, allora decido di partire per la tangente, vado alla biglietteria della partenza per la tangente e mi dicono che non mi basta né la fantasia, ne l’acqua ne l’aragosta ancora viva per pagare il biglietto per la tangente, che è ancora, immaginate voi, al 7%. Domando al bigliettaio se lui aveva tangenti, e senza nemmeno rispondermi mi fa arrestare per mancata corruzione. Mi rinchiudono in una gabbia senza noccioline o banane, al mio fianco la nassa, e l’aragosta che ride, le dico: “Che cazzo ridi aragosta, non hai nemmeno un cognome e ridi, rinchiusa, o rinchiuso in quella nassa.” L’aragosta si palesa e dichiara di essere ermafrodita, e insiste nella sua risata, poi la sua vocina, fastidiosa, che mi riempiva il cranio…
Cesare
7 Luglio 2017