Matrioska
Levo la prima bambola, scolpita nel legno della mia esperienza, la più esterna, quella del desiderio di non stare mai male, qualunque fosse il male, e piango, immediatamente, piango, e finalmente libero di poterlo fare, felice, paradossalmente, per le lacrime che gonfiano gli occhi prima di bagnare i pugni arrotolati che le asciugano, meno felice del calore che emanano i polmoni ad ogni sospiro, ad ogni respiro, respiro che carica di pianto la mia libertà ritrovata, meno felice perché quella corazza è durata troppo tempo, e io ho lacrime arretrate, polmoni gonfi del calore che per troppo tempo hanno accumulato, nel silenzio del coraggio di essere vigliacchi, ignoranti di se stessi, impotenti nei sentimenti. E guardo la corazza rovesciata li per terra, al suo interno dei segni di matita, leggo a malapena, scritte, sicuramente lasciate dal falegname della mia esistenza, due sole parole: pochi spiccioli.
Camminando sulle lacrime della prima matrioska, levo la seconda, scivolando a terra, quasi affondo, goffamente, ancora imprigionato da quell’informe cilindro che mi proteggeva fino a quel momento da ogni amore, da ogni chimica riproduttiva, da ogni tradimento. Mi libero quasi credendo debole, adesso, il potere dell’amore, convinto di vincerlo proprio per l’esperienza di averlo sempre controllato, e ricacciato nei disegni esterni della matrioska, con finti rossetti scolpiti nel legno, che guardavo però dall’interno, al buio di ogni verità, al buio di me stesso. In un solo istante sento il cuore scappare dalla mia anima, per cercare la sua stasi, per raggiungere quei cuori che ha sempre voluto con se, tutte le sue vite, ma che inutilmente, incatenato a me, ha potuto avere. In un devasto simile, la mia paura era pari alla sua, e allora subito e insieme, dopo attenta e ripetuta analisi, io e il cuore abbiamo finalmente deciso di dar fuoco a quella matrioska inutile. E mentre quel legno apparentemente ignifugo iniziava a prendere fuoco ho notato, illuminata dalle fiamme una scritta, rossa del rossetto dell’esperienza mai vissuta, che dice: non ti scordar di me.
Troppo in fretta, sta succedendo tutto troppo in fretta.
Ma, mai più schiavo, cerco la terza matrioska, quella della libertà di dire quel che penso nello stesso istante in cui lo penso, e non la trovo, eppure sono ancora dentro il buio di quel gioco antico quanto me, sicuramente ho altre bambole colorate che, divise in due pezzi, oscurano la mia libertà di essere. Insieme alla terza matrioska ho la forza delle responsabilità assunte, mai demandate ad altri, ma mi rendo conto di non aver mai avuto la vigliaccheria di infilarmi dentro quella matrioska, pagandone però le conseguenze, nel tempo e nei tempi di chi mi è stato vicino.
Non capisco quale altra corazza adesso mi difenda, e non capisco da che cosa, non vedo all’esterno ma la calma mi aiuta, deve essere la corazza che mi nasconde agli altri, che mi lascia indifferente, impenetrabile all’esterno, allora accendo la luce della ritrovata fiducia e prendo la penna del coraggio di scrivere, e scrivo, scrivo fino ad analizzare anche le mie più piccole paure, rendendole inoffensive, tremando mentre scrivo, piangendone ogni lettera, e scrivendo pubblico, e rendo noto a tutti, amici, nemici, semplici conoscenti, ma soprattutto e me stesso, il mio tutto. Mi guardo intorno mentre levo quell’ultima maledetta matrioska, e cerco qualche scritto, magari lasciato da un destino che so di non volere, di non avere, non trovando appunto niente, e scrivo, dentro quel legno, di mio pugno: Son libero nel tempo.
Cesare
30 giugno 2016