Monique
Una piccola lacrima, di gioia, bagna la sua guancia, lei, indifesa e minuta in quel letto tanto alto quanto antico i cui tarli sembrano avere hanno intaccato anche lei oltre al comodini di legno, comodino sul cui granito ci sono troppe medicine. La lampada, ingiallita dal tempo, emette una luce calda e antica, rassicurante per lei che, immobile su un lato, gestisce solo grazie alla sua esperienza quell’immobilità.
Un muso festante e due occhi languidi la osservano. Ogni volta che quel cane affettuoso le si avvicina, si emoziona, fino a permettersi le lacrime, memoria di gioie antiche di una vita alla quale è ancora avidamente attaccata.
Una pennellata bianca sul petto ne risalta il pelo nerissimo, lucido e folto, quel cagnone così dolce, senza razza, vale molto più di tutte le medicine sul comodino.
Monique, seduta su una poltroncina anni trenta, osserva quella lacrima e dolcemente accarezza la coda del suo cane, proteso verso quella minuta amica. Monique, donna agile con un corpo nervoso e senza vizi, fa compagnia alla signora, ma mai quanto riesce a fargliene il suo cane, perfetto in un ruolo che sembra a lui predestinato.
Monique prepara l’ultima pastiglia, la scioglie in un bicchiere di acqua e, piegando dolcemente la testa della donna fragile, gliela fa bere piano piano, Otto, nervosamente, piagnucola, la sua padrona lo avrebbe portato via da li a pochi minuti, e lui, cane sensibile, lo sa bene.
Monique sente il rumore della serratura di quella casa enorme, che considera sprecata nell’eco di ogni suo rumore, e dopo pochi istanti vede entrare la badante notturna.
Si avvicina per darle l’ultimo saluto della giornata, le sorride baciandole la fronte, quei pochi chili di tenerezza ringraziano con lo sguardo, spegne la lampada nascondendo alla luce tutte le medicine, come a confermarle che fino all’indomani starà bene. Otto fa molto di più, dopo aver zampettato tra il letto e la padrona, poggia il muso e con quegli occhi languidi la osserva, lei, piangendo ormai tra buio e silenzio, allo spegnersi della luce si proietta automaticamente in un sonno morbido, passeranno alcuni giorni prima che Otto possa farla lacrimare ancora, di gioia.
Monique saluta la badante, rimasta sulla soglia della porta, come a non voler interrompere la magia di quel rito, infilando la porta principale prende la busta gialla lasciatale all’ingresso e scivola via dalla casa col cane che la segue, titubante, come sempre quando lascia quella casa.
Infila la busta in una semplice semplice borsetta e con la mano cerca la chiave della macchina, la trova senza la solita fatica, la portiera dell’utilitaria bianca scatta, lei apre quella per far entrare il cane e poi la sua, si siede al posto di guida, stanca ma felice, appagata, e, subito prima di accendere il motore, stringe fortissimo il volante, chiude gli occhi, per riaprirli dopo pochi attimi alla ricerca del muso del cane che trova nello specchietto retrovisore, Otto, presente, e in quel sorriso di complicità c’è tutta la gioia di quella serata..
Il tragitto è breve, Monique ha una casa semplice quanto la sua macchina, più piccola di quella che ha lasciato, e in quella casa, al posto della signora esile, trova i suoi due gemelli, sul divano, addormentati. Non li sveglia lei, ci pensa Otto, lei intanto si è già cambiata, una dolce vestaglia che arriva alle ginocchia e che la lascia libera nei movimenti fa sembrare quasi che i suoi piedi non tocchino per terra, in cucina prepara velocemente la tavola, la cena, già pronta dalla mattina presto, come per incanto compare ordinatamente tra posate piatti e bicchieri. Otto precede i due gemelli che irrompono in cucina, incredibilmente svegli, che si siedono a tavola, guardando quella madre illuminata sempre più dalla loro presenza. Sedici anni ormai da quando il padre dei gemelli, dopo averla lasciata in ospedale per il parto, è scomparso in quella sua India tanto amata, senza lasciare tracce, ma solo documenti, rigorosamente falsi.
Più volte Monique lo ha immaginato una spia di chissà quale paese, ma per poi rivedere col tempo qualunque immagine illuminante di quell’uomo che ha caratterizzato i suoi gemelli solo per qualche tratto di viso. Ma Monique ha amato alla follia quell’uomo misterioso, e ora ne ama con la stessa follia i suoi figli.
La madre abbraccia da dietro i due fratellini, dandogli un bacio dolcissimo e sussurrandogli uno di quei rari ‘ti voglio bene’, detti solo quando hanno quel significato profondo, e non gettati via nella regolarità di un ripiego per la sua forzata assenza.
A tavola si chiacchiera, i compiti, le interrogazioni, si riprendono le discussioni del pranzo, i voraci sedicenni consumano la cena in poco tempo, aver fatto nuoto gli ha dato quella carica in più, che si trasforma in fame.
Le dieci di sera, e anche se sedicenni, con ormoni in esubero, i due salutano la mamma e saltando divani, Smartphone e videogame sparendo a letto, dove crollano chattando con amiche. Monique sistema la cucina, si concede il divano e un po’ di televisione, domani la aspetta un’altra lunga giornata.
Spegne tutto, si infila in bagno, si strucca, lasciando quegli occhi meravigliosi ancora più naturali, illuminati dalla sua serata, si mette a letto, su suo comodino non ci sono medicine, spegne la luce e si addormenta in un sonno pieno di sogni, Otto, ai piedi del suo letto, veglia su quei sogni, meraviglioso interprete della sua felicità.
L’indomani l’utilitaria parte silenziosamente, Otto in casa, i figli usciranno a breve per il liceo poco lontano, la colazione pronta verrà sparecchiata dai gemelli, che ritroverà quel giorno purtroppo solo a cena.
Pochi chilometri in una città che inizia ad entrare a regime, col suo traffico, i suoi studenti che non studiano ma stanno in giro, i suoi disoccupati che sembrano non cercarlo veramente un lavoro e una marea disomogenea di lavoratori stanchi ma apparentemente frettolosi.
Il cancello elettrico del palazzo in quel centro storico si apre, richiudendosi sotto lo gli occhi della guardia giurata che, ossequiosamente, la saluta, lei risponde con un sorriso inutile, di mera cortesia. Chiude la macchina, posteggiata in uno dei due posti privilegiati, vicino all’ascensore, che infila, si guarda nello specchio, truccata alla perfezione, in un tailleur pantalone blu perfettamente ricamato per lei, e considera mentalmente quanto spreco in quei quattromila euro spesi per un vestito, ma il protocollo lo prevede.
Buongiorno dottoressa, buongiorno, felice giornata, come sta bene stamattina, e così via, il tragitto dall’ascensore al suo ufficio, quello con la targhetta ‘Direttore Generale’ è pieno di gente ruffiana e viscidamente ossequiosa.
Si chiude la porta alle spalle, prende posizione nella sua scrivania e consulta alcune carte lasciatele dalla sua segretaria, l’unica che, silenziosamente, in una calda scrivania al fianco della sua, le fa solo un cenno col viso per salutarla. Selezione fortunata tra le papabili segretarie visionate anni prima.
Alle undici in punto l’appuntamento con i due soci unici di quella società che gli proporrà una grossa cifra per una mediazione, fondamentale, solo per loro.
Chiede alla segretaria due documenti che probabilmente la avrebbero aiutata a scegliere con più cognizione di causa, dopo pochi minuti sullo schermo del suo computer appare la notifica e in due click eccoli, visionabili, lei li riduce e prosegue a verificare la sua relazione.
Alle undici in punto arrivano, due distinti signori con abiti profumati di nuovo, con orologi lussuosi, probabilmente falsi, e degli occhiali tattici da persona che lavora ore e ore davanti a schermi di analisi, calcoli, statistiche. Monique li riceve in piedi, uno dei due azzarda un viscido baciamano, ma per fortuna, come se avesse appena ripassato il galateo, nemmeno la sfiora la mano con le labbra, lasciando a Monique anziché l’impressione della galanteria, solo uno spavento durato un attimo.
È lei che inizia a presentare la sua relazione, ponendo poche domande, le cui risposte non necessitano di lunghe repliche.
Monique è fredda, e i due potenziali clienti lo accusano, in un disagio calcolato ad hoc che loro stessi dovrebbero conoscere e non considerare, ma Monique è più fredda dei loro banali corsi di network.
Un ora, forse meno, di poche delucidazioni, di scambio di documenti che la sua segretaria, sempre presente, stila, modifica e corregge e stampa immediatamente secondo le indicazioni di Monique.
Alla firma, finalmente secondo i due sudati ospiti di quell’ufficio in pelle e legno pregiato, che firmano per primi, osservando poi, sotto la dicitura Direttore Generale, la firma di Monique che scorre sinuosa e leggera, ma potente e decisiva: due milioni di euro, questa la cifra che per un anno i due verseranno alla società di Monique per la sua consulenza.
Semplice, con una Monique che sorride solo quando le viene in mente la sua vecchina allettata e Otto che la veglia, quel sorriso resta ancora un attimo al pensiero dei figli, e sparisce al pensiero del loro padre.
Monique congeda i due freddamente. La segretaria le dice che sono nei tempi, e che l’autista è già sotto l’ufficio, porgendole una ventiquattro ore con documenti, un mini set per rinfrescarsi e per viso e denti, trucco, lucidalabbra, Monique non ama il rossetto.
Posa la valigetta nel sedile di dietro della grossa berlina con i vetri oscurati ma si siede davanti, salutando un autista vestito in maniera informale, come da sue disposizioni, intraprende una conversazione banale, ma rilassata.
L’aeroporto le concede un pasto frugale, e subito dopo un viaggio poco movimentato. Altri incontri, altra fredda analisi di costi benefici, ricavi, possibilità e spese impreviste, Monique in altri due appuntamenti aveva visto e approvato con la sua firma documenti che concordati per altri ventitré milioni di euro, sempre su base annua.
Il viaggio di ritorno in aereo le ha invece lasciato qualche strascico, e lei, triste, sobbalza come tutti dopo un improbabile atterraggio ma evita di applaudire, constatando che il suo jet privato le avrebbe tolto qualche imbarazzo si, ma che non avrebbe avuto il piacere di vivere quei viaggiatori così dolci e genuini.
È sera quando sale nuovamente sulla sua macchina, confortevolmente rumorosa rispetto all’ovattata berlina. Porta con se la valigetta, non ha voglia di passare per l’ufficio, vuole anticipare l’abbraccio ai figli.
Otto la festeggia scodinzolando, i ragazzi appena rientrati la abbracciano, era quella la sua felicità. Ma l’indomani avrebbe visto la sua vecchina, e avrebbe avuto quella sensazione che solo lei le regalava, facendole dimenticare l’inutilità del denaro, la falsità della gente, la meschinità del rapporto che le persone hanno con il denaro.
Andando a letto vede dalla borsetta della sera prima il giallo della busta che proprio la vecchina le aveva fatto avere tramite la badante, sorridendo la prende, la apre e conta, trentacinque euro. La stringe al petto, con gli occhi lucidi la rimette nella borsetta, la vecchina non sa di aver perso tutto a causa di figli avidi, e che solo grazie a lei ha ancora una casa, appunto riscattata dopo una lunga battaglia da lei, che ha combattuto affinché restasse sua. Lei paga la badante, e proprio lei da anni ormai, tre volte alla settimana, con Otto, riceve quei dolcissimi sguardi di un amore disinteressato, iniziati quando ancora la vecchina aveva solo leggere difficoltà di deambulazione.
Monique grazie a quella vecchia signora riesce a sorridere, ad amare, ad essere se stessa.
Cesare
23 Ottobre 2019