Come eravamo
È un automatismo ormai, un modo per staccarsi senza
patire ancora, un modo per spazzare via dolore o risentimento, paure o
alternative possibilità mai percorse. Dopo che lo faccio, e lo faccio
immediatamente, è come se regalassi la libertà di andare dove deve, come se
tagliassi il cordone ombelicale della sua ormai esistenza finita, facendolo
volare come un palloncino pieno di ricordi che ogni tanto tornano, ma non
restano mai, ricordi che sono lievi e senza materialità, ricordi non più dentro
la prigione della memoria, ma ormai fuori dal contesto, che immagino diverso
per ognuno. Prima lo facevo solo numericamente, adesso giocoforza lo devo fare
virtualmente, eliminando immagini, contesti, parole, e le possibili emozioni
che il progresso può regalare. A me rimane, e deve rimanere, ve lo auguro, il
contatto fisico, visivo, le parole usate guardandosi negli occhi, gli abbracci
e le strette di mano, impagabili, senza il prezzo imposto dalle abitudini che
oggi sono subentrate, scalzando verità e attenzioni che forse tempi addietro
avrebbero offerto maniglie, appigli, perché nella verità del linguaggio del
corpo, perché nella presenza di un mancato sorriso, nell’uso quotidiano dell’esistere
in funzione degli altri, si respira cruda la realtà, senza filtri, senza led
che filtrano troppo spesso emozioni e paure, e portano a reazioni istintive, un
apparire diversi, un nascondere se stessi, nascondendosi in realtà dal proprio
specchio, quando non ci piacciamo però siamo sempre noi stessi, siamo la
totalità di noi, ed è inutile usare il setaccio dei mezzi per nasconderci agli
altri, noi, da soli, siamo senza filtri.
Quando morirò, per favore, cancellate numeri, mail,
eliminatemi dai vostri social, e sorridete, perché sono riuscito sempre ad
essere me stesso, anche nei contesti più irreali e surreali.
Cesare
14 Febbraio 2017