Il bambino e l’elefante
È semplice vedere un elefante dentro un negozio di cristalli, lo è meno immaginare i suoi movimenti, lenti, quando ondeggia leggero, spaesato, quando agita le orecchie polverose incapace di capire perché sotto i suoi piedi non ci sia terra calda e secca ma granito colorato di verde a di rosa, e poi, tutto quel luccichio, dovuto a riflessi a lui sconosciuti, amplificato dai cristalli, lo infastidisce, e si vede, apre e chiude gli occhi velocemente, le sue ciglia lunghe sembra che attendano di essere struccate, ma lui, ancora, cerca di capire.
Chi legge invece sorride all’idea che si muova.
È difficile riuscire a descrivere l’odore dell’animale in quell’ambiente che è sempre stato di aria limpida e chimicamente attraente, l’odore di savana, ora, acre, prevale, mentre le commesse targate di diplomi di esperte di pietre e cristalli a fatica lo respirano, meno preoccupate del titolare del negozio, un omino calvo e con baffi sottili, che spera l’elefante sparisca come è apparso, senza incrociare un solo dei cristalli preziosi, sa di non essere assicurato contro danni causati dagli elefanti nel suo negozio, aveva riso allora all’assicuratore che cercò di convincerlo che per pochi centesimi avrebbe incluso quella clausola, ora maledicendosi.
Immaginare i passanti fuori dalle vetrine del negozio di cristalli è più semplice invece, sempre più numerosi si accalcano increduli, scattando migliaia di fotografie nelle quali in primo piano ci sono solo i cristalli preziosi e l’elefante appare solo nell’interno delle sfaccettature brillanti di quegli oggetti trasparenti. Se si concentrassero più sull’elefante anziché scattare foto da buttare inutilmente in rete per regalare ad altri cose esclusivamente loro, private, forse capirebbero di più lo stato dell’elefante, che in quel momento inizia a muoversi verso la porta di noce, blindata, che da sul retro, non è un albero ma per l’elefante è ciò che più gli somiglia.
Un bambino di pochi anni, fortunatamente sprovvisto di cellulare, ma carico di fantasia, vede il dorso del pachiderma carezzare i cristalli del lampadario, rumorosamente l’animale li fa scontrare tra di loro, senza però rovinare nulla di quel prezioso manufatto, il bambino si chiede se l’animale è stato mai cavalcato dall’uomo, l’animale sembra abituato alle commesse e al sudato proprietario.
I passi lenti, ammortizzati per fortuna dalla conformazione delle zampe fanno comunque tremare le vetrine, il granito verde e rosa restituisce l’energia in maniera preoccupante, la guardia giurata ha la pistola in mano, inutilmente, da tanto, guarda il proprietario che continua a sudare, come quando riesce a rubare sorrisi, finti, alle sue due commesse.
La proboscide raggiunge la porta di noce, ne annusa la laccatura, si ritrae, l’elefante si sente tradito ancora, in quella situazione, anche senza bracconieri che cercano di ucciderlo, non è comunque tranquillo, e si vede, ed è in quel momento che spaventato, irritato, sta per iniziare a correre verso la luce delle vetrine per cercare di risolvere quel problema, uscire alla ricerca del suo branco, il proprietario ha già capito che verranno distrutti milioni di pezzi rari e costosi, la guardia giurata arma la pistola, ma sa che non sparerà mai, le commesse si abbracciano terrorizzate e la gente fuori dalle vetrine inizia ad allontanarsi istintivamente facendo altre inutili fotografie.
Il bambino senza telefono rimane immobile, vede gli occhi dell’elefante che lacrimano, e piange anche lui, nel silenzio dei cristalli.
L’elefante decide allora di non muoversi, facendolo travolgerebbe il bambino, preferisce quindi rimanere intrappolato dentro quelle cascate di acqua solida e brillante, bambino lo guarda, rapito dalla sua stessa fantasia.
Rimane solo il rumore delle lacrime dei due, nelle quali si riflettono i colori dell’innocenza e della fantasia.
Solo il bambino sa che che l’elefante dentro il negozio c’è perché la fantasia di chi scrive, immagina, sogna, è alla pari alla fantasia di chi legge, interpreta, traduce.
Domenica 1° Novembre 2015 Cesare